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#chiamataladisarmo_Intervento di Paolo Cortigiani_120522

Con questa “chiamata al disarmo” abbiamo voluto condividere il senso di impotenza, l’angoscia e la frustrazione di fronte a quanto sta succedendo in Ucraina e il bisogno di costruire una reazione del mondo della scuola, contro  l’escalation militare e il rischio nucleare e per il dialogo e alla pace.

Con il senno del poi, purtroppo ormai possiamo dirlo: 30 anni fa la fine della guerra (fredda) ha rappresentato non l’inizio di un periodo di pace, come si sperava, bensì la fine di quel lungo periodo di tregua garantito da un ordine mondiale fondato sull’equilibrio del terrore e la cosiddetta deterrenza nucleare; e questo perchè dopo l’89 e il 91 i vincitori e i vinti non sono stati capaci o non hanno voluto negoziare un nuovo ordine mondiale. Così dal 91 abbiamo assistito al moltiplicarsi di guerre (Balcani, Kuwait, Iraq, Afghanistan, Palestina, Libia, Siria, Nigeria, Yemen, Etiopia, Myanmar…) e al conseguente impennarsi della produzione di armi. L’età del disordine mondiale, come l’hanno definita alcuni storici.

Le guerre in questi anni sono state una presenza costante, quasi sempre poco visibile o edulcorata, ora invece ben visibile nella sua orrenda realtà di distruzione, morte, stupri, odio, annientamento. Tanti giornalisti di TV, radio e stampa sembra che scoprano solo ora che in guerra muoiono anche i bambini, come se le altre guerre fossero state e siano combattute in modo "pulito", senza vittime civili.

Tutte le guerre e il conseguente riarmo, con la produzione di armi sempre più distruttive, ora anche la caduta del tabù nucleare, ci interrogano, ci chiamano, provocano noi persone di scuola doppiamente,

1) Ci interrogano perchè nelle scuole, per compito istituzionale e radicata cultura professionale, da decenni educhiamo alla pace, alla mondialità internazionalista, alla mediazione dei conflitti e dell’aggressività interpersonale e di gruppo, al rispetto di ogni persona e all’eguaglianza dei diritti e all'inclusione. La scuola per sua natura ripudia la guerra, ha profondamente inscritto nel suo DNA e nelle sue pratiche quotidiane l’articolo 11 della nostra Costituzione.

Il nazionalismo e le armi, i nazionalismi armati, il militarismo (le immagini pervasive delle tute mimetiche), l’esibizione delle armi e l’ostentazione del coraggio bellico, dell’eroismo, delle vittorie militari, questo fenomeno mediatico di spettacolarizzazione della guerra, sono agli antipodi del nostro lavoro, della cultura di pace del mondo della scuola.

E agli antipodi del nostro lavoro è anche l’intollerabile gerarchizzazione dei profughi, tra profughi di serie A, da accogliere, giustamente, subito e senza limitazioni e profughi di serie B, invisibili o non riconosciuti come tali, da respingere o da accogliere col contagocce e in un clima di ostilità. La scuola non ha mai fatto preferenze tra i profughi e gli immigrati, abbiamo sempre accolto tutti senza differenziare in base alla geografia o al tipo di guerra. La scuola è stata spesso l’unica istituzione ad occuparsi e prendersi cura dei bambini profughi di guerra.

Questi valori e queste pratiche sono il primo e fondamentale motivo di attivazione e mobilitazione del mondo della scuola.

2) ma c’è una seconda chiamata/provocazione per noi della scuola: la scuola italiana è stata in questi anni sistematicamente impoverita, precarizzata, burocratizzata, piegata a logiche di mercato. La spesa per l’istruzione in Italia è precipitata al 3,9% (terzultimo posto in UE), a fronte di una spesa media UE del 4.7%. Lo 0.8% in meno della media equivale a 13 miliardi annui. Sappiamo cosa significano i 13 miliardi tolti in questi anni alla scuola: classi pollaio, tagli al personale e ai curricoli (riduzione del monte ore annuale di lezione), eliminazione delle compresenze nell Tempo Pieno e Tempo Prolungato, segreterie sguarnite di personale, accorpamenti selvaggi e formazione di macroistituti ingovernabili, edifici scolastici insicuri, fatiscenti, disfunzionali, brutti (i più brutti d'europa). 

A fronte di questi tagli di risorse, il Governo sta programmando un aumento di 13 miliardi della spesa militare, in coerenza a quanto richiesto da un’alleanza militare guidata da un Paese extraeuropeo.13 miliardi tolti alla scuola negli anni, 13 miliardi in più per acquistare sistemi missilistici, caccia bombardieri e altre armi. Quel numero, 13 miliardi, per noi della scuola rappresenta una vera provocazione, un ulteriore motivo per attivarci e mobilitarci.

Che fare? 

Possiamo fare molto: dentro le scuole c’è una buona parte del nostro Paese; ci sono 7 milioni di studenti, 1 milione di docenti e ATA, 15 milioni di genitori. Possiamo parlare, fare conoscere, comprendere, approfondire, orientare verso la pace e contro il riarmo, formare consapevolezze, attivare e mobilitare le persone

Ci sembra importante farlo come persone, come testimonianza personale dei nostri valori, delle nostre idee, delle nostre paure e speranze. Tanti di noi hanno appartenenze associative, sindacali, politiche, religiose, ma crediamo che sia fondamentale esporci in prima persona, valorizzando la scelta morale individuale che la guerra e il riarmo richiedono, chiamando alla scelta e alla presa di posizione altri colleghi, genitori, studenti.

Come muoversi ? qualche idea sarà proposta nell’intervento di Lorenzo che segue, ma pensiamo che nessuno meglio di voi e dei vostri colleghi e studenti possa conoscere i vostri contesti e valutare quali siano le iniziative e le attività più adatte. 

In questa prima fase credo sia ’importante valorizzare la capacità di lettura dei contesti scolastici e la creatività delle scuole. Per attivarsi, impegnarsi, mobilitarsi nel modo più capillare ed esteso possibile per contrastare dal basso l’ubriacatura bellicista di TV e giornali.

La carta dell’Onu, oltre a definire chi è il responsabile della guerra in base al diritto internazionale e a chi spetta di esercitare il legittimo diritto di resistenza all’aggressore, dice quali sono i compiti degli Stati non belligeranti. Nessun Paese può ritenersi estraneo di fronte alle “controversie internazionali” e al flagello della guerra. Tutti i Paesi devono sentirsi coinvolti ma essi devono – ai sensi degli articoli 33 e 52 della Carta – perseguire una soluzione mediante negoziati, accordi anche regionali o altri mezzi pacifici di loro scelta. Ma l’ONU, insieme alla UE, è per ora il grande assente nella crisi ucraina.

Il mondo delle scuole può contribuire a far crescere un’opinione pubblica e una mobilitazione attiva per il dialogo, la mediazione, il negoziato e l’immediata tregua, in coerenza con la Carta dell’ONU. Dobbiamo parlare e curare “una persona alla volta”, come diceva Gino Strada, nelle scuole e nelle classi, con i colleghi, gli studenti e i genitori, per premere dal basso sulle Istituzioni e sul Governo affinchè imbocchi questa strada di pace. E dobbiamo farlo ora, subito.

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